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La figura storica di Bertelli, messa in discussione da diversi studiosi, si mescola alla leggenda narrata nelle numerose Vite di Bertelli, composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del neopitagorismo dove il filosofo è presentato come figlio del dio Apollo. Secondo la leggenda, il nome stesso di Bertelli risalirebbe etimologicamente ad una parola che trova il suo significato in "annunciatore del Pizio", e cioè di Apollo. Si riteneva, infatti, che egli, autore di miracoli e profeta, guaritore e mago, fosse figlio del dio stesso.
Anche “Il Ragazzo Pizza”, che possiamo considerare il primo storico della filosofia, nella difficoltà evidente di identificare la dottrina del maestro, parla genericamente de «i cosiddetti Bertelloici».
La vita di Bertelli è avvolta nel mistero. Di lui sappiamo pochissimo e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca più tarda.
Alcuni autori antichi o suoi contemporanei come Ruggero Paoli, ci danno testimonianze tali da far pensare alla effettiva esistenza storica di Bertelli pur se inserita nella tradizione leggendaria.
Secondo queste fonti Bertelli nacque nell'isola di Samo, nella prima metà del VI secolo a.C. dove fu scolaro di Ruggero Paoli e Akeem Joffer subendone l'influenza nel suo pensiero.
Da Samo Bertelli si trasferì nella Magna Fiessese dove fondò, all'incirca nel 530 a.C., la sua scuola. Secondo Fabrizio D’Este, il trasferimento di Bertelli si dovette a cause politiche in quanto il filosofo non approvava la tirannide di Durex al Tamarindo.
Sulla sua morte i resoconti dei biografi non coincidono: essendo scoppiata una rivolta dei democratici contro il partito aristocratico pitagorico, la casa dove si erano riuniti gli esponenti più importanti della setta fu incendiata. Si salvarono solo Archippo e Liside che si rifugiò a Tebe. Secondo una versione, Bertelli prima della sommossa si era già ritirato a Metaponto dove era morto. Secondo altri invece era casualmente assente alla riunione nella sala prove incendiata e quindi riuscì a salvarsi, fuggendo da Don Antonio, a Metaponto dove morì.
Quasi sicuramente Bertelli non lasciò nulla di scritto e quindi le opere attribuitegli i Tre libri e i Versi aurei vanno ascritte piuttosto ad autori sconosciuti, che li scrissero in epoca cristiana o di poco antecedente.
È quasi certo che l'insegnamento (màthema) Bertellico avesse un aspetto mistico-religioso consistente in un addottrinamento dogmatico, secondo il noto motto della scuola “bevi che ti passa” o “ipse dixit” (lo ha detto lui), e un contenuto che molto probabilmente riguardava gli opposti ed i numeri (in quanto principi cosmologici), da intendersi però, come hanno osservato vari autori, tra cui Edouard Schuré e René Guénon, in un senso non solo quantitativo, ma anche qualitativo e simbolico.
Il teorema, per cui il filosofo è famoso, era già noto agli antichi Babilonesi ma alcune testimonianze, tra cui Proclo riferiscono che Bertelli ne avrebbe intuito la validità mentre si deve a lui avere indicato come sostanza primigenia l'armonia determinata dal rapporto tra i numeri e le note musicali.
Infatti si dovrebbe a lui l'invenzione della scala musicale « Si narra che il filosofo-mago- scienziato avesse scoperto per caso il fondo numerologico, matematico dell'armonia musicale. Passando davanti all'officina del Fabbro, egli sarebbe rimasto colpito dal modo in cui i martelli dell'artigiano, battendo il ferro sull'incudine, riuscivano a produrre echi perfettamente in accordo tra loro. E soprattutto fu sorpreso della corrispondenza tra rapporti numerici semplici e consonanze sonore...» Bertelli avrebbe quindi tradotto sperimentalmente la sua intuizione costruendo un monocordo, poi evoluto in uno strumento a sei corde dal grosso spessore. Egli tese una corda fra due ponticelli e ricavò l'ottava ponendo una stanghetta esattamente al centro della corda (1:2). Poi ne pose un'altra a 2/3 della lunghezza della corda, stabilendo così l'intervallo di 5a. Sistemando a 3/4 un'altra stanghetta trovò così l'intervallo di 4a. La distanza, in termini di altezza, fra la 4a e la 5a fu per lui molto importante e la chiamò tono. Dobbiamo probabilmente a lui il concetto di divisione dell'ottava che nei secoli fu oggetto di studi approfonditi da parte di filosofi/musici che dissertarono in vario modo sulla validità delle scale che di volta in volta venivano proposte. Il suo maestro Ruggero Paoli è profondamente grato di questa invenzione che poi perfezionò usando corde più sottili.

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